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Ricorre in questi giorni il centenario della nascita del Partito Comunista Italiano, fondato il 21 gennaio del 1921 a Livorno da una costola dei socialisti, al quale peraltro va riconosciuto il merito di avere, almeno nelle intenzioni, sostenuto la causa dei poveri e degli sfruttati. Come osserva Carlo Nordio, questa sensibilità non era originaria dell’ideologia marxista cui il Pci si ispirava ma era sorta tra filantropi ed utopisti europei disgustati dalla miseria provocata da una disordinata rivoluzione industriale e dalla cinica rapacità dei suoi protagonisti. Ed era stato Marx a prendere spunto dalla dialettica astratta dello Spirito di Hegel per inverarla nella materia della lotta di classe. Ed il comunismo era diventata una religione e quindi una chiesa che la rivoluzione bolscevica ne stabilì la sede a Mosca ove tutti i partiti, compreso il nostro, prestarono ossequi fedele. L’avvento di Stalin, eliminando utopie e dissensi sull’originaria aspirazione palingenetica, determinò la trasformazione reale dall’idea al dominio molto autoritario del Cremlino. In Italia l’avvento del “fascismo” spinse il Pci nella clandestinità con molti membri che sopportarono esilio e carcere ma con molti nuclei che continuavano ad operare e a creare quegli embrioni di quella “Resistenza” armata durante l’occupazione nazista. Militarmente contò poco ma politicamente legittimò il Pci alla costruzione della Repubblica con la firma di Umberto Terracini in calce alla nostra Costituzione, un’impalcatura legislativa che ancora sussiste. Tuttavia la diffidenza verso Stalin (che non era certo un agnellino avendo ucciso pure una folla di compagni, seguaci di Trotskij, in odore di “deviazionismo”), il Magistero della Chiesa, la personalità di De Gasperi e l’alleanza con l’America determinarono nel 1947 l’allontanamento del Pci dal governo. Tuttavia il peso che il Pci perdette in potere politico lo guadagnò in ambito scolastico e culturale con una lungimirante e accorta politica banausica aiutata dalla miopia della nuova generazione democristiana e avallata da una condotta individuale molto rigorosa. Ed in questo si differenziava non poco dalla “nomenklatura” sovietica di cui si poteva dire quello che Clemenceau rimproverava alla Chiesa “nata come insurrezione dei poveri si era trasformata nel sindacato dei ricchi”. Nell’URSS infatti l’ “Apparato” prosperava in una vita parallela con privilegi impensabili negli Stati liberali. Al contrario dalle nostre parti il Pci si vantava, a buon diritto, di una disciplina quasi “penitenziale”, si definiva “ateo” col problema che come diceva Chesterton che “Chi smette di credere in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere in tutto”. Ed è qui in chiave moderna la nascita del “Relativismo” ove ognuno è libero di crearsi una sua “verità”, senza riferimento ad alcun credo religioso o a valori morali, relativismo che offre una risposta semplice a tutti quelli che hanno difficoltà a decidere sulle grandi domande della vita. Hanno sostituito la Trinità e i santi con dei surrogati caricaturali, memorabile la loro definizione di Gesù “semplice personaggio storico”! Ma sfilavano compunti davanti alle macabre salme imbalsamate di Stalin e Lenin come simbolo di un lugubre feticismo ideologico. Esaltarono le funzioni pacifiche degli SS20 nucleari piazzati a pochi passi da casa nostra riversando la colpa sulle provocazioni americane, ma si trattenevano, per loro interesse, dal denunciare le incarcerazioni di Solzenicyn, le umiliazioni di Pasternak per il suo “Dottor Zivago” e l’esilio di Andrei Sacharov, il padre della “Bomba H”. Pagine deplorevoli della nostra storia e cultura. Diversamente dalla “Casa madre” moscovita che ripudiava inorridita quelle forme artistiche innovative che considerava espressione della degenerazione borghese, Botteghe Oscure accettava il sostegno e la militanza, molto lungimirante, di attori, registi, scrittori noti per i loro gusti eccentrici e la loro vita dissoluta, il germe di quella rivoluzione sessantottina che ne ha iniziato la decadenza per eccesso di illiceità. Ma sarebbe ingiusto dimenticare alcuni passaggi in cui il Pci contribuì alla vita della nostra democrazia, come l’adesione di Togliatti al governo Badoglio e alla monarchia, l’amnistia concessa anche ai fascisti. E la vergogna di cui si coprì il partito appoggiando la repressione sovietica in Ungheria nel 1956 fu in parte compensata dalla flebile dissociazione dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968. La ferma difesa della legalità e dei princìpi costituzionali durante gli “anni di piombo” pur nel perdono dei “compagni che sbagliano” ma col rifiuto di trattare con i brigatisti sul caso Moro, contribuirono a legittimare il Pci agli occhi dei moderati. Tuttavia dopo l’apogeo alla morte di Enrico Berlinguer iniziò la fine del Pci che dovette crearsi altre “definizioni” per cercare di sopravvivere: tutta l’impostazione teorica del marxismo crollò insieme al muro di Berlino! Quella di Marco Rizzo, segretario del partito comunista, è un’analisi spietata “Il Pd ha abbandonato periferie e lavoratori, si è convertito a Bruxelles e alla finanza, alle porte girevoli del potere, all’economia che domina la politica…Credo che il primo passo del socialismo sia far tornare la politica a governare economia e finanza”. Le sue considerazioni, pur ovvie dalla sua parte, non sono prive di una certa logica. “Socialismo e liberalismo si confrontano sul crinale tra giustizia sociale da una parte e libertà individuale dall’altra. Oggi il capitalismo occidentale garantisce davvero la libertà individuale? Quando Twitter censura il Presidente americano in campagna elettorale è libertà?”. E riguardo la Cina non ne parla come un modello da imitare, basta vedere il rispetto dei diritti umani e le persecuzioni delle minoranze, ma ne glorifica l’impostazione statale che ha funzionato, sconfiggendo Covid e povertà, al contrario dell’Occidente ove le cose sono andate peggio perché la sanità è finalizzata al profitto, la povertà aumenta e le libertà diminuiscono: oggi se non sei sui social non esisti e se ci sei devi allinearti. E chiaramente parla di dittatura bella e buona che sta decostruendo in maniera evidente la democrazia: perché con tutti i meccanismi di controllo come L’Autority per le telecomunicazioni, la Par condicio, perché non si fa la stessa cosa con il web? Perché la UE che regola la lunghezza delle vongole, la curvatura delle zucchine, le misure degli ascensori e degli spazzolini da denti, latita sul controllo del web? La rete è diventata uno strumento di omologazione con una dittatura digitale che si espande in maniera vertiginosa: ci sono corsi di laurea di 6 mesi di Google e tra poco le università tradizionali diverranno obsolete. Il Partito Comunista originario si è trasformato in un grande partito radicale che al posto dei proletari difende gay, migranti e femministe. E’ una mutazione genetica iniziata negli anni ’70 quando invece di aggiungere ai diritti sociali quelli civili hanno sostituito i primi con i secondi, hanno sostituito le battaglie sostanziali dei lavoratori con quelle superficiali del pensiero unico: vedasi anche l’utero in affitto, di peggio non si poteva fare! I lavoratori avevano raggiunto un discreto welfare i termini anche di risorse economiche, smantellate in poco tempo da una ben accolta schiavitù migratoria che ne abbassa fortemente l’asticella. E la cosa più strana, conclude, è che chi celebra oggi il centenario del Pci, come Occhetto, D’Alema, Romano sono proprio quelli che l’hanno demolito! Ne è prova proprio D’Alema che è stato la punta di diamante della nomenklatura del Pci e degno erede della doppiezza togliattiana: capo di un riformismo solo nel linguaggio, additando Craxi come un nemico e pericolo per la democrazia, in realtà l’unico leader socialista che più di ogni altro ha saputo indicare la strada della modernizzazione della sinistra ma il Pci si è sempre arroccato sui fortilizi ideologici sul mito della infallibilità e della mai dimostrata diversità etica, preferendo l’opzione cattocomunista, l’alleanza con la sinistra Dc che ha prodotto un patto di potere culminato nel Pd, un partito senza anima e identità che sta consegnando la storia della sinistra italiana nelle mani di Conte e Grillo con tutti i limiti di una società permeata da una nuova forma di comunismo. Il concetto di egemonia culturale di Gramsci (“la piccola e media borghesia erano la barriera di umanità corrotta, dissoluta, putrescente, con cui il capitalismo difende il suo potere economico e politico, umanità servile, abietta, umanità di sicari e lacchè…bisogna espellere questa classe sociale bisogna espellerla dal campo come si espelle una volata di locuste dal campo semidistrutto, col ferro e col fuoco”. Che carino!) e l’eredità del ’68 sono gli esempi più eclatanti ma oggi stiamo vivendo un’evoluzione dell’ideologia comunista più sottile e al tempo stesso più pericolosa rappresentata dal “globalismo”. Ed in questi giorni fa specie vedere questa nuova sinistra che non sa distinguere il “ricordare” un’esperienza storica, culturale e politica dal “celebrare” il trionfo della sua ideologia. Non è più sufficiente schermarsi dietro la formula stranota “l’idea era nobile, è stata la realizzazione ad essere sbagliata” dato che in qualsiasi Paese dove hanno governato i comunisti, i risultati sono stati fallimentari sotto tutti i punti di vista: dall’URSS (la vita dei sovietici si svolgeva in un’atmosfera da incubo per la miseria: uomini che bevevano metanolo pagando con la vita la loro dipendenza da alcool e le donne he la davano via solo per un paio di calze di nylon per la goduria dei nostri “compagni” elogianti i loro pellegrinaggi in Russia, certamente più vicina di Cuba allo scopo) alla Jugoslavia di Tito, dall’Asia al Sudamerica, con l’unica eccezione della Cina se ci si riferisce ai risultati economici che hanno poco a che fare con il comunismo ma molto stretti ad una forma di “Capitalismo rosso” che si nutre della mancanza di rispetto dei diritti umani, della repressione delle minoranze, della scarsa trasparenza (ritardi del governo cinese sulla pandemia) e della pervicace invasione dei mercati con alleanze geopolitiche fondate sul basso costo dei prodotti e della manodopera. Ma il “Nuovo Comunismo”, come osserva Francesco Giubilei, diffuso negli USA ed Europa è altrettanto pericoloso e pervasivo, forse di più dato che si nasconde dietro l’effigie di democrazia e libertà: l’Occidente sempre più secolarizzato, le religioni tradizionali sostituite da nuovi culti che assumono un carattere dogmatico come l’ambientalismo di Greta Thumberg, che un esponente del Pd, Beppe Sala, ha addirittura paragonato per il suo coraggio alla adolescente ebrea Anna Frank (incredibile!), la libertà di parola e di espressione ogni giorno messa in discussione e a rischio di “querelle” legali o di “confino” sociale, mentre si abbattono le statue e si cancella la memoria del passato. Viviamo in una società che grazie alla superiorità etica e culturale della sinistra ha instaurato la “Dittatura dell’Uguaglianza” dimenticando le singole identità in cui scuola e famiglia sono continuamente sotto attacco, attualizzando la visione sessantottina, basta leggere il testo di “Imagine” dei Beatles per comprenderne l’evangelizzazione di una dannosa utopia. Eppure il 2021 potrebbe rappresentare anche l’anno in cui l’Italia che ha tanto a cuore i dettami di questa UE si conformasse, anche dal punto di vista simbolico, alla sua risoluzione del 2019 che equipara con una legge tutti i totalitarismi, dal nazismo al comunismo che di morti ne ha fatti molti di più del primo. Ed invece l’Italia che fa? Ma certo nel 2019 sono stati previsti fondi per l’anniversario circa 400.000 euro in due anni e da parte di chi? Da parte del Ministro per lo sport Spadafora: nulla di più “congruo” perché se si dovessero fare degli “ossimori e mistificazioni” una disciplina olimpionica avremo un medagliere pieno zeppo! Negazionisti oltremisura: Budapest non è masi esistita, Praga neppure; i Gulag sono una invenzione della propaganda; i russi erano pacifisti diversamente dagli statunitensi guerrafondai; i dissidenti sono fascisti sotto mentite spoglie; i titini non sono stati gli artefici delle foibe con Norma Cossetto che infastidisce ancora l’ANPI che continua ad impedirne un suo pur minimo ricordo da infoibata. E’ questa la mentalità di massa dei neocomunisti! E’ questa l’idiosincrasia di questa cultura verso l’industria e chi produce ricchezza. Un esempio su tutti: chi ha pagato il conto più salato in questi mesi piagati dalla pandemia? La piccola e media borghesia, impossibilitata a lavorare ed ingannata dai mitici “ristori” che non arriveranno mai semplicemente perché lo Stato i denari non li ha, come non ha acquistato i vaccini, quindi né salute né economia! Ma solo un popolo suddito della paura, della dittatura sanitaria nel mito dell’uguaglianza nella povertà e schiavitù. Uguaglianza solo nei diritti e mai nei doveri. La mia storia personale non può che esserne testimonianza. Infatti non potrò mai dimenticare la possibilità che ho avuto di poter scalare la scala sociale dal papà ferroviere in pensione ad acquisire una laura prestigiosa con lode all’Università di Pisa. Sacrifici economici e di studio notevoli ma che non hanno inciso sulla possibilità di emergere e di diventare un affermato professionista della sanità, sempre promosso sul campo e mai dai vertici! E nella “Rossa” università negli anni ’70 ho compreso quanto l’ideologia comunista intaccava in profondità le istituzioni distruggendo l’autorità ed autorevolezza della cultura e università. Ho visto lo scempio del “18 politico” con professori capaci e continuamente minacciati dalla “gambizzazione” com’era in uso in quei tempi. Ma si sa il loro mantra era “massimo rendimento con minimo sforzo”. Si produsse così una generazione ben allattata e nutrita ma molto inferma nelle gambe e precaria resistenza agli sforzi che a sua volta ha generato una progenie ancora più fragile che muore di continuo isolata nei social, imbrigliata oggi in una didattica a distanza che è tutto tranne che istruzione, nel nome di quel “centralismo democratico”, della trasmissione di schemi ideologici attraverso l’educazione e la scrittura che mirano alla costruzione di milizie oranti che devono riscrivere la “fabbrica del passato” come Mauro Boarelli riporta nella sua nuova edizione del libro “La fabbrica del passato. Autobiografie dei militanti comunisti”. Il passato però non è molto generoso con il comunismo, basta leggere “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa, con la sua prima nefandezza che è stata un vero e proprio “parricidio” ossia la liquidazione crudele e illegale di Amedeo Bordiga, ingegnere napoletano, il primo leader del Pci, un galantuomo ed idealista, cervello di prim’ordine, e si comportava come fosse alla guida di comunità di “eguali” e per analogia si illudeva che dentro l’ “Internazionale” si creassero dinamiche virtuose fra partiti fratelli e non vassalli del nascente imperialismo sovietico. Il problema era che a Mosca Bordiga non piaceva così che Gramsci Togliatti e gli altri dirigenti di spicco del Pci si misero all’opera per consumare l’assassinio politico di Amedeo e ci riuscirono perfettamente con votazioni e scrutini “truffa” per sminuirne i sui consensi. Tanto che si ritirò a vita privata ed etichettato come “traditore e trotzkista, protetto dalla polizia e dai fascisti”. Il più grande emerito, se non l’unico, di Silvio Berlusconi è stato proprio quello negli anni ’90 di aver fermato la “gloriosa macchina da guerra” di Occhetto altrimenti oggi questo “scritto” sarebbe da galera! |
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