Non sembra essere una differenza da poco! Nel primo caso abbiamo una convivenza in uno stesso territorio di culture diverse ciascuna con i suoi simboli, tradizioni, modi di agire propri di una certa aggregazione sociale che ha le sue leggi ma che quasi sempre sono diversi dalle costumanze degli autoctoni. I questi casi assistiamo al costituirsi di enclavi che appaiono separate fra loro ma che nel rispetto reciproco non dovrebbe dare luoghi a scontri anche fisici oltre che ideologico-religiosi. Infatti in ogni grande metropoli vi sono delle “comunità” ove si condividono i valori originari di provenienza che devono tuttavia limitarsi solo ad un diverso modo di socializzazione in usi e costumi ma che devono comunque obbedire ai principi costituzionali e legali della regione che occupano. Tale processo prende il nome di “integrazione” ed è alla base di una convivenza del tutto pacifica. E la storia è piena di processi migratori che hanno decretato un progresso economico e civile sia di chi emigra sia di chi accoglie. Tipiche la “Little Italy” o la “China Town” come quartieri newyorkesi. L’interculturalismo è qualcosa di più profondo come scambio fra culture ed ogni civiltà odierna non è altro che la “summa” di tanti processi cronologici secolari frutto della “permeazione” di usi e costumi diversi. La civiltà giudaico-cristiana, tanto per fare un esempio a noi vicino, nasce da una base greco-romana ma si modifica con l’avvento dell’ebraismo. Infatti la Grecia classica uscì dai canoni antichi con le sue piccole ed indipendenti città-Stato e con i loro efficaci metodi di guerra, basati su uomini liberi che lottavano per le proprie famiglie conferendo loro la libertà di sviluppare idee innovative in ambiti diversi come l’economia, l’arte e la filosofia. Queste idee influenzarono non poco quegli ebrei che si muovevano nell’orbita culturale greca ed i due sforzi si fusero nel Cristianesimo, una versione ellenizzata ed universale dell’Ebraismo: un concetto ebraico di Dio pienamente sviluppato, Dio come Creatore razionale di un universo comprensibile che ha modellato la teologia cristiana ed è alla base dell’ascesa dell’Occidente e della sua cultura; non solo, ma che ha destrutturato se non estinto il fosco impero romano il cui popolo non eccelleva nell’innovazione, ma nel successo tecnologico, frutto della combinazione di dominio politico repressivo e dell’ampia disponibilità di lavoro forzato a basso costo; pensiamo al Colosseo che fu teatro di circa 200 mila omicidi come riporta lo storico Rodney Stark che a conclusione della sua opera “La vittoria dell’Occidente” scrive “Non c’è dubbio che la modernità occidentale ha i suoi limiti e i suoi malcontenti. Eppure è di gran lunga migliore di alternative di cui siamo a conoscenza, non solo o persino soprattutto, a causa della sua tecnologia d’avanguardia, ma anche del suo fondamentale impegno per promuovere la libertà, la ragione e la dignità umana”. Uno studio brillante e piacevole che risponde mirabilmente all’odio di sé e alla misantropia piena di sensi di colpa del multiculturalismo. In termini più semplici la stessa tradizione culinaria di ogni paese è frutto di un interculturalismo come si evince dall’onnipresente croissant a colazione nei nostri bar di origine austriaca come simbolo vittorioso sulla mezzaluna per aver fermato l’invasione ottomana alle porte di Vienna o la frutta candita che impreziosisce il cannolo siciliano di ricotta ma i cui maestri erano gli arabi che servivano agrumi e rose candite nei momenti tipici dei loro banchetti. Le stesse tradizioni mutano in quanto dinamiche, hanno un loro metabolismo e sono tutt’altro che sempre uguali a se stesse e magari come diceva Oscar Wilde è vero anche che “una tradizione è un’innovazione ben riuscita”. Oggi ci troviamo di fronte, causa anche questa spinta ad una innaturale globalizzazione, ad un quadro molto diverso ed allarmante che manifesta il non desiderabile assioma che “Due civiltà non possono vivere sullo stesso territorio senza entrare in conflitto”. Le società multirazziali o multinazionali sono sempre state delle polveriere, storia che sembra essere stata dimenticata. A malincuore bisogna ammettere che il rispetto e l’incontro fra culture differenti avviene solo quando i popoli vivono in entità politiche e territoriali proprie e separate. Nelle società multiculturali i popoli vivono accanto ma non insieme come ricorda il giornalista Davide Cavaliere. La convivenza forzata tra costumi diversi e spesso inconciliabili è il primo fattore di razzismo e xenofobia. Non a caso nelle periferie delle città europee affollate di immigrati, gli autoctoni votano in massa partiti di destra anche estrema con una sinistra che non vuole vedere la dura realtà favorendo una immigrazione specie musulmana cui segue la diffusione crescente delle tradizioni culturali afroasiatiche, del tribalismo, dello spirito di clan e della violenza di gruppo. Credere che sia possibile, attraverso l’educazione e la scuola, trasformare in cittadini modello delle individualità plasmate da valori e condotte sopradette, significa cedere ad un ingenuo irenismo sociale non essendosi neanche inverato ancora quello religioso cristiano come testimoniano terroristi di 2° e 3° generazione che vivono nei nostri territori. Se proseguirà l’attuale tendenza demografica occidentale del calo delle nascite e del sempre più numeroso carico migratorio-culturale le democrazie europee saranno compromesse se non scomparse. Con il crescente peso dell’Islam, che mira all’egemonia planetaria, si affermeranno valori religiosi e tribali intolleranti, fanatici e suprematisti. Significative in tal senso sono le “No-go-area” sorte in tutta Europa: Molenbeek in Belgio, Malmo in Svezia, Two Hamlets a Londra, numerose città e quartieri in Francia come Sevran, settori di Marsiglia, Nimes, Rubaix, Beziers sono enclavi musulmane rette dalla Sharia e all’interno delle quali le autorità statali non hanno potere. Se questa è integrazione preferisco vivere da “separato in casa”. Ma la questione che più mi angustia non è il fatto che in futuro rotoleranno molte nostre teste bensì l’ “Islamofollia” che spinge i nostri concittadini che si proclamano “laici, democratici, egualitari” a coadiuvare ed appoggiare neanche inconsapevolmente bande di fondamentalisti religiosi in tutti i modi possibili ed immaginabili con uno scopo recondito che non riesco a configurare nella sfera razionale. Abbiamo infatti un controllo colabrodo dei nostri confini, una politica migratoria definita dall’accoglienza “tout court” a prescindere dalle esigenze di espatrio (molti arrivano dalla Tunisia che non vive guerre o disagio economico ma che è sede di proficui campi di addestramento terroristico facendosi beffe di noi che peraltro li aiutiamo per le loro esportazioni e li foraggiamo per limitare le traversate) e dalle intenzioni dei nuovi arrivati non sempre alla luce del bergogliano “Fratelli tutti”, una incisiva, radicale se non ossessiva considerazione del “bianco malvagio” e del “nero martire” anche se con le piroette di un “machete” i secondi sono veri e propri maestri in efferatezze come dimostrano i pezzi di Pamela Mastropietro o le teste rapidamente mozzate che prevedono un discreto addestramento da “butcher” non perditempo. Ma il nostro astruso se non inconcepibile senso di colpa giustifica le loro condotte selvagge verso la nostra gente definendo semplicemente come isolati “pazzi” qualunque i terroristi assassini evitando sulla stampa “main stream” di aggiungere l’aggettivo “islamico” di appartenenza criticando aspramente come successo a Belpietro per il suo titolo su “Libero” di “bastardi islamici” nel definire gli attentatori di Parigi, assolto nel processo conseguente. Luigi Mascheroni parla di una guerra di religione dichiarata dall’Islam all’Occidente e come tutte queste guerre vive di simboli carichi di significato. Il terrorista islamico che ha ucciso in nome di “Allah Akbar” ha scelto Nizza già segnata da una strage nel 2016 quando un camion ha falcidiato una folla che celebrava la festa nazionale francese lungo la “promenade des Anglais”. In pratica il bersaglio allora era il divertimento e la mondanità. Qualche giorno fa il target era la chiesa ma non una qualsiasi ma la cattedrale cittadina dedicata a Notre Dame, la “Grande Madre” dell’Occidente cristiano con tre morti di cui due sgozzati. La “decapitazione” è sempre stato un rito terroristico dell’islam come recita nel Corano il versetto 12 della sura 8 “Rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi”. E quindici giorni fa è stata la volta della decapitazione del professore Samuel Paty reo di aver mostrato alcune vignette che desacralizzano Allah ai suoi alunni: un atto di superbia della “grandeur” francese che meritava questa “esecuzione”, un colpo di mannaia anche al malinteso senso del concetto di multiculturalismo. La Francia moderna della “Libertè”, che nasce tagliando la testa al potere con la ghigliottina della Rivoluzione nel 1789, rischia di morire decapitata per mano dell’islamismo che della Libertè è la più lugubre e nefanda negazione. Da decapitazione sacra dell’antichità a decapitazione profana come segno osceno di una guerra che rende imperterrita solo una parte con i martiri cristiani “decollati” sempre più numerosi da Giovanni il Battista ai 21 cristiani copti sulle spiagge di Sirte in Libia nel 2015, al professor Paty e agli inermi fedeli di Notre Dame. Nessuna vignetta può giustificare un massacro come nessuna gonna troppo corta può minimizzare la colpa di uno stupratore. Volendo vedere quanto lugubre e pseudo-comico sarcasmo si è fatto storicamente sui personaggi della nostra Fede ad iniziare da Gesù Cristo, ritratto nero su uno statuario, gay, addirittura accusato di assassinio dell’adultera dal katecon neo-teologico cinese, o le varie madonne col volto di “influencer” vien da dire che la nostra misericordia non ha nulla a che fare col veterotestamentario “occhio per occhio” ritenendo la satira una delle forme più estreme di critica e di arte. La verità che si vuole insabbiare è che Islamismo ed Occidente sono incompatibili da tempo ed ora la guerra è scoppiata e qui da noi sta assumendo contorni meno macabri ma non meno dannosi ed allarmanti. Certo si guardano bene dal produrre effetti “da piazza” visto che abbiamo la sede del cuore pulsante cristiano che, guarda caso si sta profilando in atteggiamenti amorevoli verso i seguaci di Maometto, ma il potere che assume nella permeazione invasiva di tutte le sfere di pensiero e istituzionali non ci fa dormire sonni tranquilli. Già col “politically correct” che francamente ha stufato anche una compagine di sinistra illuminata abbiamo vita difficile ma non pensavamo ad un “islamic correct” come si evince dalla “fatwa” degli islamici d’Italia sui giornalisti “scomodi” ben descritta da Fausto Biloslavo. Davide Piccardo capo del Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano (Ucoii) si è esibito con un “J’accuse” contro “la turcofobia della stampa italiana” e addita una serie di giornalisti nella lista di proscrizione delle “penne” colpevoli di puntare il dito contro il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Fiamma Nirenstein (Il Giornale) che non ha usato il fioretto con Erdogan paragonandolo ad un neosultano imperiale ottomano “miglior punto di riferimento del mondo terrorista anche se non possiamo accusarlo di terrorismo in modo diretto”, Nicola Porro (Il Giornale) reo di aver ospitato nel suo sito l’opinione Francesco Giubilei insieme agli altri alfiere della propaganda antiturca di matrice islamofoba, Vittorio Feltri (Libero) che ha osato paragonare Erdogan ad Osama bin Laden chiedendo che “venga imbrigliato affinché la smetta di ammazzare gente in Europa, specialmente in Francia”, Giulia Bardelli (Huffington Post) per un’intervista a Pascal Bruckner che non è tenero con Erdogan. Manca Antonio Socci che su “Libero” non si è risparmiato contro il sultano riportando una sua dichiarazione del 1998 “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette, i fedeli i nostri soldati”. Per questa frase, ai tempi fu arrestato per incitamento all’odio religioso. Oggi è il sultano! E c’è sempre qualcuno “de noantri” che lo vuole in Europa! A nulla valgono le sue operazioni militari nel nord della Siria contro i curdi; l’intervento militare (ai danni degli interessi italiani) in Libia; la pressione su Cipro con l’Eni di mezzo e la Grecia; la trasformazione della basilica di Santa Sofia a Istanbul in moschea; l’asse con gli azeri contro l’Armenia sul Nagorno-Karabakh perfezionando un odio per gli armeni perfettamente sovrapponibile a quello di Hitler per gli ebrei; le accuse sempre più documentate, sull’uso sempre più spregiudicato delle milizie jihadiste (per il docente turco Aktar di scienze politiche all’università di Atene tutti sanno che la Turchia è diventata in Ankara un hub dell’internazionale dei terroristi e dei movimenti islamici); la minaccia di invaderci con i migranti nonostante i miliardi che l’UE gli ha pagato; il suo modo di governare chiudendo giornali, incarcerando giornalisti e scrittori, censurando Internet e revisionando la storia scrivendo che l’America la scoprirono i musulmani nel 1178 e non Cristoforo Colombo: se l’avessero davvero fatto non si è visto risultato alcuno! Altri giornalisti, quelli della “La Luce” quotidiano islamico on-line, quelli “corretti” per intenderci, esprimevano questo titolo alla decapitazione del professor Paty “Perché il suprematismo repubblicano francese si scaglia contro l’Islam” ma non una parola di condanna dell’omicidio di Paty e nemmeno un refolo sul massacro di Nizza! Anzi il quotidiano spiega che le vere vittime sono i musulmani colpiti da odio e razzismo, sentimenti razionalmente non difficili da nascondere verso queste lugubri nefandezze come è difficile interloquire con il crocifisso in mano con chi dall’altra parte brandisce un machete. E da ricordare che il suddetto giornale è stato fondato da quel Davide Piccardo di cui sopra e vi scrive Silvia Aisha Romano per comunicare con il grande pubblico dopo la liberazione pagata con i soldi dei soliti sudditi italiani per riaverla tra noi quale messaggera della vera “Luce-verità-vita” ma sulla “vita” i dubbi sono molti!